Sumario: | Cinquant’anni fa scoppiava la contestazione degli studenti. Al centro del lungo periodo che tiene insieme gli anni Sessanta e Settanta si situa infatti un anno di fondamentale importanza, che per gli storici è uno spartiacque: il Sessantotto, l’anno delle rivoluzioni.
Ma che cosa è rimasto di quell’anno cruciale? Sicuramente molte interpretazioni hanno colto nel ’68 solo la lotta per i diritti civili, la liberazione sessuale e la causa che ha portato, in Italia, alla deriva della violenza e del terrorismo. Ma il ’68 è stato soprattutto una generazione che ha contestato il mondo che aveva ereditato, poiché non corrispondeva più alla realtà.
Gli studenti sono stati i primi ad avvertire lo squilibrio tra le istituzioni e i bisogni reali. Una singolare novità emerge dal movimento studentesco: la scoperta della dimensione politica della realtà e della vita personale, formulata negli slogan «Tutto è politica», «Il personale è politico». Una moltitudine di uomini e di donne, tra cui studenti, operai, insegnanti, disoccupati, emarginati, disabili, contestano la società in cui vivono, le istituzioni e lo Stato che le sostiene, l’ideologia discriminatoria che vi è sottesa; e ciò accade non a partire da una dottrina o da una militanza, e nemmeno dalla presa di coscienza di un’ideologia o dall’appartenenza a un partito, ma dall’esperienza esistenziale della propria vita. Si determina così un conflitto fra la persona e il sistema.
Allo scoppio del ’68 i partiti politici non seppero riconoscere ciò che animava gli studenti, e non solo loro. Per la verità, anche la Chiesa, che pure usciva dalla pagina straordinaria di storia del Vaticano II, aveva paura che le sinistre prendessero il sopravvento nelle elezioni di maggio del 1968, e non seppe vedere che i primi a protestare erano proprio i cattolici.
Per alcuni, il ’68 è l’origine di tutti i mali, il principio della rovina della società civile, della scuola, della famiglia, e perfino della Chiesa; per altri, invece, si tratta dell’inizio della società moderna, con una serie di cambiamenti positivi nella democrazia del nostro Paese, nella cultura e nello stile di vita. È inevitabile chiedersi se la contestazione di allora, tutt’altro che immotivata, abbia prodotto la svolta politica che auspicava. Quanto poi influiscano sul presente gli esiti del conflitto tra «autoritarismo» e soggettivismo è difficile a dirsi.
Il cardinale Carlo Maria Martini guardava quell’anno con spirito critico, rifiutandone gli errori, ma insieme invitando a fare tesoro del positivo emerso dal movimento. Egli parlò non di valori o di princìpi, ma di «pungoli dovuti al Vaticano II, e che però il Sessantotto ha esasperato obbligandoci ad affrontarli».
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