Sumario: | La conciliazione da operare fra la fedeltà alle tradizioni e l’universalizzazione dei valori è una sfida lanciata oggi a tutte le società: una sfida particolarmente forte per la Chiesa, che si proclama universale, pur apparendo legata alla cultura occidentale. In che senso allora si può parlare di conservare l’identità cristiana come è stata trasmessa dalle generazioni passate? La Chiesa è ancora in grado di contribuire all’universalizzazione dei valori, salvaguardando la propria identità?
La storia del cristianesimo, fin dai tempi apostolici, può essere vista come un tentativo sempre rinnovato di far prevalere un’esigenza di fraternità universale, per superare i blocchi che sorgono nelle società e fra di loro. È ancora possibile conciliare le diverse identità particolari con questo ideale cristiano di fratellanza universale?
Sia nel mondo occidentale – in cui la dissociazione dei fondamenti religiosi e sociologici della società universale è stata progressiva – sia in quello asiatico – in cui troviamo culture per le quali la relazione dell’individuo con la società e con il mondo esterno viene percepita in un modo fondamentalmente diverso da quello prevalente nel mondo occidentale – viene messa in discussione la funzione della religione nella risoluzione dei problemi dell’esistenza.
In questo contesto, qual è il ruolo del cristianesimo nel futuro? Esso implica il riconoscimento di quanto c’è di valido nelle altre culture. Ogni civiltà è portatrice di una conoscenza dell’essere umano e di un senso dell’Assoluto a cui non può rinunciare, ma nello stesso tempo è invitata a rivedere la sua tradizione e ad arricchirla con l’esperienza delle altre. Riconoscendo che nello scambio ciascuno diventa consapevole dell’«unicità» della propria cultura, e che questa fiorisce in tale relazione con l’altro.
Secondo alcuni, questo modo di procedere rischia di ridurre l’identità cristiana a quella di un’opinione fra le altre. Ma l’identità cristiana non deriva dalla forza politica propria di ogni movimento transculturale, né dal solo valore razionale della sua «dottrina». Essa è di un ordine diverso: è fondata su una certezza – religiosa – che supera quella della sola ragione e la distingue dalle teorie sociali; non contrappone a esse un’altra «dottrina» giudicata solo razionalmente più vera, ma rifiuta in esse anche tutto ciò che le appare non corrispondente alla dignità umana; consiste in questa esigenza di confrontare i programmi e le realizzazioni presenti con quelli del pieno sviluppo di ciascuno e di tutti.
Il cristianesimo, per svolgere un ruolo universalizzante, non si può limitare dunque alla sua esperienza e alle sue realizzazioni passate, perché queste hanno il segno dei tempi in cui si sono sviluppate. Oggi la relazione del cristianesimo con il mondo deve cambiare livello.
*Il gesuita p. Joseph Joblin è morto il 1° febbraio scorso. P. Joblin è stato pure collaboratore della nostra rivista. Lo ricordiamo con l’ultimo articolo che ci era stato consegnato per la sua pubblicazione.
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