Sumario: | Chi sarà il prossimo presidente della Federazione russa, nelle elezioni del marzo 2018? La domanda è, per molti analisti, retorica, sebbene i candidati in lizza siano parecchi: l’unico vero oppositore, Alexei Navalny, è stato escluso dalle elezioni per via giudiziale. Gli altri candidati, sia il radicale di destra Zhirinovsky, sia il comunista Grudinin, che dirige una delle ultime grandi imprese agricole rimaste dall’era sovietica, sia Ksenia Sobchak, che si presenta come liberale, costituiscono, in un certo senso, un’opposizione apparente.
La Russia non è ancora pronta a grandi cambiamenti e Putin è dunque considerato un sicuro vincitore. Il suo sistema, nonostante tutte le critiche che merita, appare a molti – nell’elite economica e dell’apparato statale, come anche tra tanti cittadini di ogni condizione – in grado di perseguire una politica che soddisfi gli interessi e le aspirazioni di buona parte della popolazione.
«Il popolo tace sempre»: scriveva Alexander Puškin nel Boris Godunov. Se si leggono gli organi di informazione liberali, critici nei confronti del «regime», se ne ricava l’immagine di una Russia che non ha futuro sotto questo governo. Eppure l’opposizione non riesce a mobilitare la popolazione per chiedere un vero cambiamento politico. I russi, prevalentemente, non protestano; anzi, vanno alle urne ed eleggono i rappresentanti di chi detiene il potere, il quale non ha nemmeno bisogno di applicare una dura repressione per conservarlo. Perché, dunque?
Nel Paese vige una sorta di «democrazia alla russa», non nel senso del potere del popolo, ma nel senso che le élites al potere – a differenza degli anni Novanta – rappresentano più o meno le aspirazioni e l’interesse della gente, e cercano di realizzarli, senza ovviamente dimenticare i propri interessi. In questo sistema vige il cosiddetto «contratto sociale»: ora, essendo il Cremlino riuscito a produrre una modesta ripresa economica nel 2017, il governo ritiene di aver adempiuto alla sua parte del contratto; per questo si aspetta che anche la popolazione adempia alla sua, riconfermandolo al potere.
La generazione attuale, cresciuta negli anni Novanta, è troppo traumatizzata dall’esperienza del caos, della povertà e dell’illegalità di quel periodo. Dopo l’«illusione» che con le elezioni del primo presidente russo Eltsin, nonostante l’opposizione dell’élite comunista, si potesse costruire una democrazia, e che anzi esistesse già. Per questo dunque accetta l’autoritarismo – che si presenta anche come patriottismo – come un male minore.
La democrazia è una cultura, e non un uomo nuovo al potere. Qualcosa di veramente nuovo potrà arrivare solo da un cambio generazionale.
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