"Essere nei crocevia della storia" conversazioni con gesuiti del Myanmar e del Bangladesh

16 dicembre 2017 Share Tweet +1 Dal 26 novembre al 2 dicembre papa Francesco ha compiuto il suo ventunesimo viaggio apostolico fuori Italia, recandosi in Myanmar e Bangladesh. Il mercoledì 29 novembre, subito dopo l’incontro con i vescovi del Myanmar, Francesco è uscito dalla piccola sala che h...

Descripción completa

Detalles Bibliográficos
Autor principal: Francisco, Papa aut (Autor)
Formato: Artículo
Idioma:Italiano
Ver en Red de Bibliotecas de la Archidiócesis de Granada:https://catalogo.redbagranada.es/cgi-bin/koha/opac-detail.pl?biblionumber=490761
Descripción
Sumario:16 dicembre 2017 Share Tweet +1 Dal 26 novembre al 2 dicembre papa Francesco ha compiuto il suo ventunesimo viaggio apostolico fuori Italia, recandosi in Myanmar e Bangladesh. Il mercoledì 29 novembre, subito dopo l’incontro con i vescovi del Myanmar, Francesco è uscito dalla piccola sala che ha ospitato l’incontro. Ha trovato ad attenderlo 300 seminaristi per una foto. Ha salutato anche un piccolo gruppo di cinesi, che mostravano con orgoglio la bandiera della Repubblica popolare, e che gli chiedevano: «Venga presto nel nostro Paese!». Dopo un tratto a piedi tra festa e saluti, il Papa è entrato nella cappella del piano terra dell’arcivescovado, dove ha trovato ad attenderlo 31 gesuiti che svolgono la loro missione nel Paese. Di questi, 13 erano del Myanmar (3 preti, 5 novizi e 5 scolastici). Gli altri erano originari di Thailandia, Malaysia, Vietnam, India, Indonesia, Australia e Cina. Altri 21 gesuiti originari del Myanmar non erano presenti, perché impegnati negli studi in Indonesia, Sri Lanka e Filippine. I gesuiti provenivano da tutte le istituzioni della Compagnia di Gesù nel Paese: le opere educative, che sono aperte a tutti, indipendentemente dal «background» etnico o religioso; una parrocchia in una diocesi di frontiera che serve il popolo kachin e shan; una scuola in una baraccopoli di Yangon, dove i gesuiti aiutano anche i poveri a ricostruire le loro case e hanno un piccolo servizio di microcredito; il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati, che lavora per lo più con le centinaia di migliaia di persone sfollate all’interno degli Stati Kachin e Kaya e al confine con la Thailandia e la Cina. Francesco, entrando, è stato accolto da un applauso. Ha salutato tutti, uno per uno. Sebbene la stanza fosse, com’è tipico di una cappella, stretta e lunga, il clima era quello di un abbraccio spontaneo al di là delle file. I volti dei gesuiti facevano intuire la loro grande diversità di provenienza. Uno studente gli ha fatto indossare uno scialle tipico dell’etnia chin. Francesco si è seduto e ha detto di aver bisogno di un traduttore per l’inglese, presentando mons. Mark Miles. E ha scherzato dicendo: «Lui è un brav’uomo e non racconterà niente dei segreti gesuitici di cui parleremo qui». E subito ha sentito il dovere di ringraziare i presenti. Di seguito riporto la trascrizione delle due conversazioni alle quali ho assistito, e la cui pubblicazione è stata approvata dal Santo Padre, aggiungendo qualche nota di contesto e una considerazione finale.