Sumario: | È da mesi ormai che l’opinione pubblica mondiale vive nella paura di un possibile conflitto nucleare: paura amplificata sia dai media, sia dalle continue minacce di guerra lanciate dai due protagonisti della vicenda, e cioè il Presidente degli Usa, Donald Trump, e il dittatore della Corea del Nord, Kim Jong-un. Negli anni della Guerra fredda, anche nei momenti più critici, lo scontro politico tra le due superpotenze era mediato dalla correttezza della forma diplomatica. La grande paura è che, dalla cosiddetta «guerra delle parole», poco alla volta si passi alla guerra nucleare. A questo punto, un conflitto potrebbe essere innescato anche da un’errata valutazione dei fatti, oppure da un incidente dovuto a un errore umano.
D’altra parte, mentre Donald Trump e Kim Jong-un si scambiano minacce, diplomatici statunitensi e nordcoreani, prudentemente e con molti distinguo, continuerebbero a incontrarsi nella sede Onu di New York, per porre le basi di un futuro negoziato formale. Qualche studioso ha giustamente definito l’attuale situazione come una «crisi dei missili cubani al rallentatore». Alcuni sostengono che sia a questo punto necessaria, oltre alla mediazione della diplomazia parallela, anche una conferenza regionale alla quale partecipino, assieme agli Stati coinvolti nella crisi, anche la Cina, il Giappone, la Russia e l’Europa.
Per comprendere la crisi nordcoreana è però necessario sgomberare la mente da alcuni pregiudizi e da alcuni «miti» sul regime «comunista» di Pyongyang e i suoi capi, in particolare i membri della dinastia Kim, presentati come dei pazzi. Ad esempio, le scelte di Pyongyang in materia nucleare, dal suo punto di vista, sono infatti pienamente razionali. Per la maggior parte degli analisti, la strategia nucleare nordcoreana avrebbe come finalità principale quella di costringere gli Stati Uniti a negoziare un accordo che sancisca lo status della Corea del Nord come potenza regionale per non finire «sotto la Cina». D’altra parte, gli Usa si aspettano che sia proprio la Cina, alleata storica della Corea del Nord, a risolvere la crisi in atto. Questo però non è il punto di vista dell’«Impero del Centro». Per Pechino la Corea del Nord è soltanto un problema da gestire; anzi, sotto il profilo strategico, essa rappresenta una sorta di Stato-cuscinetto tra la zona di influenza cinese e quella statunitense. Per uscire da questa grave situazione, è necessario che le due potenze – quella piccola (la Corea del Nord) e quella grande (gli Stati Uniti) – si siedano al tavolo delle trattative, come Pyongyang chiede dagli anni Settanta. Il che non significa premiare le prepotenze di un piccolo dittatore asiatico, ma assolvere al grave compito di mediazione politica che spetta innanzitutto alla più grande potenza mondiale.
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