Sumario: | L’attenzione è incentrata sui princìpi che avrebbero retto le giuste nozze in Roma: monogamia, esogamia e consenso. In nessuna epoca dell’esperienza giuridica romana a un uomo sarebbe stato consentito di avere due o più mogli legittime. Le fonti non sono univoche nel focalizzare l’interpretazione della tematica. Testimonianze del passato lascerebbero presumere che non mancarono, nel corso dei tredici secoli di storia romana, eccezioni che derogavano ai criteri ritenuti generali e condivisi nell’evoluzione storico–sociale. In virtù del principio esogamico, inoltre, il matrimonio era permesso solo tra coloro che appartenevano a distinti gruppi, sia familiari sia gentilizi. Anche in questo caso non sono mancate anomalie rispetto alla condivisione di valori comuni. Reiteratamente, infatti, gli imperatori sono intervenuti a ridisegnare le conseguenze e la loro punibilità. Prova, questa, che se l’istituto fosse stato immutabile non sarebbe stata avvertita la necessità di ribadirne o correggerne gli aspetti. Il consenso, manifestazione dell’affectio maritalis, infine, era elemento essenziale che distinse le giuste nozze dalle unioni di fatto. Tutte le volte che esistevano impedimenti soggettivi al vincolo le coppie finivano, però, con l’aggirare l’ostacolo preclusivo ricorrendo a stabili convivenze: concubinato e contubernio. Unioni che unitamente al vincolo coniugale saranno vietate nel caso fossero formalizzate tra romani e barbari -- Contracubierta
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